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La rubrica nasce con l'obiettivo di raccontare un libro al mese, mettendo in evidenza temi da cui poter trarre insegnamenti, sia a livello professionale che personale. Entreremo nel mondo dei libri attraverso gli occhi degli stessi autori, con l'augurio che possa essere un buon punto di partenza per chi è curioso ed ha sempre voglia di acquisire nuove conoscenze.

#PrimoLibro

Nell’era della comunicazione pervasiva è normale sentir parlare di narrazioni. Le “storie” sono considerate indispensabili per cambiare il risultato di una campagna pubblicitaria o di una strategia di marketing e tutti sono convinti di maneggiarle con abilità.

Ma quali sono le regole da applicare quando la narrazione riguarda noi stessi? 

Oggi, nel mondo del lavoro e delle risorse umane, diventa fondamentale elaborare una narrazione di sé efficace, per poterci permettere di comunicare al meglio ciò che siamo, ma soprattutto ciò che sappiamo fare, oltre il curriculum vitae. 

Spinte da questa riflessione, in un tardo pomeriggio di Marzo, abbiamo intervistato gli autori di #NewPersonalStorytelling. Idee e regole per la narrazione di sé.

Con gli storyteller, Andrea Bettini narratore d’impresa e Francesco Gavatorta Strategic Marketing Manager, abbiamo chiacchierato in modo frizzante e coinvolgente sul tema della narrazione di sé.

Raccontarsi è ancora uno dei gesti più belli del mondo, ma se lo si fa male, si rischia di svilire la storia più importante: la propria.

Intervista agli autori

K: Rompo il ghiaccio io, partiamo con una domanda semplice ma centrale: cos'è per voi lo storytelling?

F: Intanto facciamo un po' di preistoria: lo storytelling è una metodologia, un insieme ordinato di strumenti, tecniche e modelli che nasce da un gesto molto naturale, quello del raccontare.

Per me, invece, lo storytelling è quell'insieme di regole, che parte dal gesto del raccontare, che applichiamo a sistemi complessi, come il sistema del lavoro, del marketing, della comunicazione. La parola trova significati diversi in contesti diversi, e oggi probabilmente paga un po' la sua capacità di essere declinabile ovunque: possiamo parlare di "bulimia da storytelling", quale elemento sintattico in grado di riempire frasi e discorsi.

Purtroppo, nonostante quest'epoca sia la più ricca di narrazioni, sta anche banalizzando il gesto del raccontare. Per me, quindi, storytelling è prima di tutto qualcosa da rispettare. Sono andato bene Andrea?

A: Sottoscrivo totalmente. Io e Francesco siamo particolarmente allineati su come intendiamo lo storytelling e su come lo facciamo.

Siamo un po' degli "artigiani dello storytelling", entrambi abbiamo una conoscenza su pratiche e metodo, anche se lo applichiamo in modi diversi. Al di là del metodo e della tecnica, per me storytelling è riuscire a trasformare linee temporali in linee emozionali, e mi fermerei qui perchè altrimenti facciamo un trattato!

L: Nel 2016 è uscito #PersonalStorytelling, ma nel 2020 ne è uscita una nuova edizione. Come mai avete sentito l'esigenza di riscriverlo e in cosa si differenzia dal precedente?

F: Scrivere #PersonalStorytelling è stata un'esplorazione personale e di collaborazione, perchè è stata la prima volta che io ed Andrea abbiamo lavorato insieme. Nel 2016 esce questo libro, e vi confesso che sono rimasto particolarmente colpito, perchè è stata la prima volta in cui dei feedback, anche negativi, mi hanno toccato dentro: dei lettori ci hanno scritto che mancava qualcosa per arrivare al fondo, bisognava trovare uno scarico a terra di ciò che avevamo raccontato.

E allora ci siamo interrogati sulla necessità di effettuare un secondo intervento. In questa bella e nuova edizione più "cicciosa" sono presenti altri modelli e altre modalità di declinazione sulla narrazione del sé in termini professionali, ma soprattutto anche le nostre proiezioni, le nostre idee e le nostre proposte. C'è, se vogliamo, una maturazione nostra anche sul tema stesso, noi lavoriamo con la narrazione di sé quindi, evidentemente, anche noi cresciamo con quello che raccontiamo ai nostri lettori, e questo libro porta un processo di maturazione. Io sono particolarmente contento di avere avuto modo di lavorarci, perchè mi ha visto personalmente più coinvolto.

A: Non è stato comunque facile, per noi, rimetterci a studiare. Quando un libro è chiuso c'è spesso la voglia di andare oltre, però questa è una materia che non puoi mai ritenere chiusa, e noi stessi dovevamo essere i primi ad aggiornarci.

Mi piace quel sentimento che nominava prima Francesco: noi ci occupiamo di narrazione, e alla base della narrazione c'è l'ascolto. Credo che l'aver ascoltato sia i feedback positivi ma anche quelle annotazioni di miglioramento sia stato fondamentale, perchè ci hanno portato a fare un upgrade del volume che analizza altri linguaggi che avevamo preso in considerazione solo marginalmente nel primo.

M: Vado con la prossima domanda, quanto e perchè è importante, secondo voi, sapersi raccontare al giorno d'oggi?

F: Noi viviamo in un egosistema, sostituzione dell'ecosistema, tarato su micronarrazioni e micromomenti, dettato dal fatto che abbiamo mediamente cinque profili social che determinano la nostra vita. Io scommetto che tutti voi presenti avete acceso almeno una volta un social oggi!

La nostra vita è frammentata di microricerche, e di fatto questa frammentazione porta a una vita in cui noi continuiamo a raccontare. Il bisogno di raccontarsi è ormai indotto dal fatto che siamo in sistemi che si reggono sull'autonarrazione.

Per rispondere alla tua domanda, Martina: da dove nasce il bisogno di raccontarsi? Dalla nostra società, che è ormai costruita sull'autoreferenzialità del racconto personale.

A: Aggiungo anche un'altra cosa legata in parte al vostro lavoro. Dico sempre che bisogna raccontarsi e farlo bene perchè credo che ognuno di noi, al di là del curriculum, abbia delle competenze, il saper fare delle cose, e viene selezionato ed inserito all'interno di una direzione aziendale in base a delle necessità.

Ma oggi veniamo scelti anche per le nostre soft skill e per l'identità e i valori che possediamo. Oggi si guarda come i candidati si raccontano anche a livello digitale, perchè è importante anche la percezione dello spessore e della dimensione umana della persona, al di là di quello che sa fare. Per questo, secondo me oggi è importante raccontarsi in maniera efficace, utilizzando sempre un'unica regola fondamentale: quella del buon senso.

L: A questo si collega un po' la domanda successiva. Quali spunti dareste per costruire una narrazione di sé efficace, soprattutto pensando ai giovani di oggi e dei consigli da dare loro?

F: Secondo me il consiglio maggiore è quello di considerare la bulimia da micronarrazioni che si sta conformando nei comportamenti di ognuno di noi con la necessità di condividere continuamente. Quando ti trovi a dover esprimere il tuo io veicolandolo in un discorso, si fa difficoltà perchè non sai come fare.

Il consiglio è quello di costruirsi una "gabbia di senso", data da una mappatura di quello che siamo in tutti gli ambiti della nostra vita. Oggi io sto parlando a voi nella veste di intervistato, terminata questa intervista io smetterò di essere una persona che ha scritto un libro ed inizierò a fare il papà. Stasera mi toglierò il cappello da papà e diventerò tifoso di una squadra che perde sempre in Europa, quando finirà quella partita ovviamente diventerò altro.

Questo è il consiglio più grande: ragionare per che cosa bisogna dire e in che contesto. Sembra un consiglio banale, ma non lo è!

A: Anch'io mi trovo spesso di fronte a liceali o studenti universitari, mi fa piacere dialogare con loro e capire quali sono le loro ambizioni, e vedo che c'è anche un gran senso di smarrimento. Credo che un consiglio che mi viene da dare sia quello di soffermarsi un attimo, dedicarsi del tempo per capire quali sono le proprie passioni.

Adesso viviamo in una situazione dove, anche dopo la laurea, non è detto che ci sia l'automatismo di entrare nel mondo del lavoro. Da un lato, quindi, è chiaro che si vive di incertezza, dall'altro questo può dare anche delle opportunità in più a chi ha delle ambizioni legate a dei propri progetti personali. Bisogna riuscire a raccontare entrambe le proprie sfaccettature, crearsi un'autorevolezza nell'ambito della propria materia ma riuscire anche a trasferire la dimensione dell'identità.

M: Secondo voi Clubhouse potrebbe essere considerato un nuovo strumento di storytelling?

F: Clubhouse ha una particolare inclinazione, che è la sua capacità di umanizzare il digitale. Richiede una cosa che gli altri social non ci richiedevano più, ossia il tempo. Per come la vedo io, è soltanto un altro segnale che stiamo decelerando, e questo non mi fa altro che dire che stiamo tornando di nuovo a un bisogno di raccontare, che richiede tempo.

Per rispondere alla tua domanda: sì, è un grande strumento di narrazione collettiva individuale, però sicuramente non spaccherà la storia.

A: Questo concetto lo condivido, ed è straordinario prendersi del tempo, va proprio in controtendenza a tutto ciò a cui siamo stati abituati fino ad oggi. Clubhouse fa leva su una cosa che sia io che Francesco amiamo, ossia il tema del parlato e dell'audio. Lo associo, in parte, alla tendenza del podcast, sono degli strumenti che hanno dei numeri ristretti ma scelti, poichè tu, in quel momento, gli dedichi del tempo nell'ascolto. In Clubhouse, poi, puoi passare addirittura da audience ad interagire con il pubblico, o anche a creare la tua stanza.

E' un po' come tornare alle origini: la prima forma di narrazione era orale, ci si trovava e ci si raccontava storie. Io, tra l'altro, sono un amante della radio, quindi per alcuni aspetti mi ricorda un po' le prime radio private.

L: La pandemia che stiamo vivendo ci ha portato ad isolarci. Quanto è importante saper raccontare la propria storia per sentirsi parte di una storia comune e secondo voi cosa significa essere parte di una storia comune?

F: Una domanda complessa la tua. Noi siamo parte di una storia comune, della storia dell'umanità, e oggi essa si muove su delle grandi narrazioni, determinate dal fatto che viviamo in sistemi indotti da delle scelte politiche, economiche e strutturali che partono da delle idee.

L'Europa sta vivendo una grande narrazione collettiva, la pandemia ci ha aperto il mondo accelerando questi processi, perchè ci siamo resi conto di essere parte di un grande sistema che si reggeva su dei meccanismi dati per scontati. Noi viviamo in un sistema che narrativamente è strutturato per motivare le persone, nella pandemia questa necessità è diventata marcata, perchè abbiamo riscoperto il bisogno di ricostruire dei sistemi che sono stati rotti.

Anche i racconti personali di questo periodo saranno diversi: tutti noi ci confronteremo nella traduzione e restituzione della nostra esperienza con altri sistemi, ma perchè abbiamo visto un mondo diverso.

A: Giusto una postilla legata, in particolar modo, a un'esigenza che ho avvertito lavorando col mondo delle imprese: più di un imprenditore mi ha chiesto come mantenere il legame ed il senso di appartenenza all'azienda, adesso che i dipendenti lavorano da casa. Nel momento in cui perde di rilevanza la fissità del luogo del lavoro, bisogna capire come poter creare una nuova narrazione che possa comunque coinvolgere le persone anche se sono fisicamente lontane.

Quindi c'è un tema centrale: capire quale sarà la narrazione efficace e quali saranno gli strumenti e le modalità che potranno utilizzare le aziende per essere ancora attrattive e creare quel senso di legame con i propri collaboratori, che è fondamentale.

Ringraziamo Andrea e Francesco per la disponibilità e per aver favorito la contaminazione di mondi diversi, per aver aperto nuove porte al sapere e alle conoscenze, con esempi costruttivi e simpatiche battute!

Vi aspettiamo con un nuovo libro e una nuova intervista!